MILANO
Su internet la parola che vale miliardi è una sola: monetizzazione. Perché l'onda lunga generata dall'accordo tra YouTube e la Siae, anticipato ieri dal Sole 24 Ore, riguarda la possibilità di inserire pubblicità online nei video musicali e di renderli redditizi. Ecco perché il presidente della Siae, Giorgio Assumma, definisce «storico» il deal tra la sua associazione e i nuovi partner.
Ma c'è di più. L'intesa tra la piattaforma video e la Società italiana degli autori ed editori chiude un cerchio industriale. Se YouTube già da tempo aveva sottoscritto larghe intese nella direzione della tutela delle major (quindi sui diritti "connessi"), l'anello mancante riguardava proprio la tutela del diritto d'autore, cioé il compenso spettante alla persona fisica, la stessa che aveva scritto quella canzone e sceneggiato quella pellicola. In una parola: mancava la tutela della creatività.
In fondo è tutta una questione di avere le carte in regole per competere nel ricco agone degli spot online, che Google conosce alla perfezione perché l'ha inventato. Ma come avrebbe potuto YouTube, in assenza di un contratto con la Siae, raccogliere in Italia pubblicità nei suoi video sotto forma di "bannerini" (ma non solo)? L'altro tema importante è la qualità dei video: in YouTube già pullulano i canali ufficiali dedicati ai singoli autori ma per fornire un'offerta completa, fatta di "pacchetti" in alta definizione in grado di fare gola ai più grandi inserzionisti pubblicitari, non ci deve essere neppure una virgola (legale) fuori posto.
E così le etichette cantano vittoria per almeno due motivi. Il primo: potranno essere loro stesse a fare inserzioni pubblicitarie, solleticando l'interesse degli utenti attraverso sofisticati incroci di offerte musicali. Il secondo, decisamente più importante: non agganciarsi al treno di YouTube sarebbe un suicidio industriale perché oggi la musica si fruisce sempre più online, in streaming, una modalità che per certi versi sta rendendo curiosamente obsoleto il download di file.
«Fino alla metà dell'anno scorso un terzo dei ricavi generati dalla nostra divisione digitale proveniva da YouTube – racconta Fabio Riveruzzi, direttore della divisione nuovi media della Universal Italia – ma c'è da dire che si trattava di un accordo temporaneo, in attesa di un nuovo passaggio che, con nostro sollievo, è arrivato ieri. Il problema è che in questo periodo di transizione non abbiamo più incassato nulla da YouTube. Ora però si aprono possibilità di business importantissime».
giovedì 29 luglio 2010
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